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La vera storia dei Ballets Russes e del loro scioglimento.

  • yrivistaculturale
  • 8 ott 2021
  • Tempo di lettura: 6 min

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La più grande compagnia di danza classica della storia moderna non è nata nel 1913 … quella, forse, è la data in cui i suoi fondatori si recarono dal Notaio per rettificare il tutto ma le sue radici andrebbero cercate molto più indietro nel tempo; e no, la compagnia non è nata neppure in quel 18 maggio del 1909 in cui con grande scalpore del pubblico i suoi danzatori fecero il proprio debutto al Théâtre du Châtelet di Parigi, anche perché una compagnia artistica non nasce mai il giorno in cui si presenta agli spettatori ma nel momento in cui essa viene concepita per la prima volta dalla fantasia dei suoi fondatori. Il seme da cui sarebbe nata la compagnia dei balletti russi, in realtà, venne deposto probabilmente in un secolo precedente a quello in cui avrebbe rivoluzionato il mondo dell’arte europea: venne deposto in un lontano pomeriggio pietroburghese del 1898 quando un impresario russo di nome Sergej Djagilev fondò insieme a un artista ebreo noto con il nome di Léon Bakst (in realtà era solo uno pseudonimo, ma poco cambia) una rivista d’arte con l’ambizione d’introdurre in uno stato conservatore come la Russia quei movimenti culturali che fin dall’epoca avevano iniziato ad affascinare i principali intellettuali dell’Europa occidentale, l’art nouveau e il simbolismo su tutti. Tanto Djagilev quanto Bakst avevano a lungo vissuto in Francia, il primo per visitare gli atelier del posto il secondo per studiare, ed entrambi avevano dunque acquisito quell’amore per le neonate avanguardie artistiche che adesso, tramite le armi della cultura e della divulgazione, intendevano importare in patria.

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Purtroppo però la stringente chiusura mentale di gran parte dei loro connazionali dell’epoca portò “Mir iskusstva”, questo il nome della rivista, a chiudere nel giro di appena sei anni. Ovviamente i due amici dovettero trarre una grande delusione dal proprio fallimento, eppure questo non poté cancellare quanto di buono sembrava essere nato da quel sodalizio: la loro intesa personale, basata non solo su una comune visione artistica ma perfino su un’intraprendenza di fondo che accomunava l’indole di entrambi. Fu così che pochi anni dopo quella coppia così visionaria ebbe un’altra intuizione, quella di non provare a portare originalità e innovazione laddove non vi era terreno fertile per esse ma di continuare la propria opera nei luoghi in cui sarebbe stata apprezzata. Decisero di tentare la fortuna a Parigi.

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Com’è risaputo fin dall’epoca la Russia godeva di una serie di ballerini e d’interpreti formidabili, fu così che in poco tempo Djagilev convinse molti tra i più grandi protagonisti delle ultime stagioni del Bol'šoj e del Mariinskij a raggiungerlo nella “città della luce”, eppure paradossalmente sarebbe riduttivo pensare ai balletti russi come a qualcosa che avesse a che fare esclusivamente col balletto: la compagnia, almeno nella propria concezione originale, doveva essere intesa piuttosto come un movimento artistico quanto più complesso possibile, integrando al proprio interno artisti provenienti da ogni parte del mondo e in grado di arricchire ogni singola esibizione della compagnia attraverso il proprio contributo creativo. Per decorare le scene vennero ingaggiati pittori del calibro di De Chirico, Picasso e Matisse; per la creazione dei costumi destinati ad essere indossati dai ballerini ci si avvalse della collaborazione, tra le altre, di Coco Chanel, per i manifesti degli spettacoli più importanti ci si affidò a Jean Cocteau mentre per comporre le musiche vennero selezionati artisti come Debussy, Prokof'ev, Strauss e Ravel, per non parlare di un giovane ragazzo pressoché sconosciuto di cui Djagilev poche settimane prima di partire per la Francia aveva ascoltato quasi per caso una sinfonia: quella musica gli era piaciuta talmente tanto che aveva invitato il ragazzo a seguirlo a Parigi e questi, senza troppe esitazione, aveva accettato … il ragazzo in questione si chiamava Igor Stravinskij e sarebbe diventato il più grande compositore della propria epoca. Infine, come Direttore artistico non poté che essere scelto Bakst mentre le coreografie vennero affidate a Michel Fokine, già primo ballerino della compagnia insieme alla leggendaria Anna Pavlova ed elemento essenziale della stessa.

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Il talento di così tanti artisti unito al carattere ecclettico e risoluto di Djagilev portarono i Balletti russi a ottenere un successo mai visto prima: inizialmente come detto si esibirono a Parigi, in seguito a Montecarlo e dopo ancora in tutto il resto del mondo dove vennero invitati e acclamati in ognuno dei principali teatri del globo grazie all’innovatività del proprio tecnicismo. In breve essi riuscirono a introdurre un nuovo concetto di bellezza e di armonia nei canoni occidentali creando alcune opere che sarebbero inevitabilmente entrate nella storia del balletto e ponendo così le basi per quello che sarebbe divenuto di lì a pochi anni il principale fenomeno artistico di tutto il XX secolo, l’Art déco.

Purtroppo come ogni bella storia anche quella dei balletti russi era prima o poi destinata a finire e ben presto quel meccanismo perfetto si sarebbe progressivamente inceppato fino a portare alla disgregazione dell’intera compagnia. Accadde così che nel 1913 Djagilev decise di sostituire Fokine con il suo amante, uno straordinario ballerino polacco di nome Nižinskij; i due avevano una storia fin da quando ormai diversi anni prima erano arrivati in Francia e malgrado la differenza d’età (l’impresario era ben diciassette anni più anziano del suo amato), gli inevitabili litigi che possono verificarsi tra due innamorati e gli altrettanto inevitabili pettegolezzi della borghesia dell’epoca, sembrava che la coppia funzionasse alla perfezione tanto nella vita privata quanto nel lavoro. Accadde tuttavia che una sera durante uno dei rari momenti in cui non era accompagnato dal suo assistente personale Nižinskij venne raggiunto da una sua fervente ammiratrice, la contessa Romola de Pulszky: ovviamente non possiamo sapere di cosa i due decisero di parlare, ma fin da subito fu chiaro che la passione di lei per il brillante ballerino andava ben oltre la semplice stima artistica.

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Pochi mesi dopo la compagnia sarebbe dovuta partire per una nuova tournée, questa volta in America, ma purtroppo il primo ballerino non poté unirsi al resto del gruppo: aveva paura dei viaggi transoceanici, disse. Peccato soltanto che mentre i suoi compagni erano impegnati a danzare, lui pensò bene di convolare a nozze con Romola de Pulszky il tutto scegliendo come luogo delle nozze Buenos Aires, che al nostro ultimo controllo risultava ancora dall’altra parte dell’Atlantico. Tutt’ora sono in molti a interrogarsi sulla scelta di lui d’accettare così rapidamente il corteggiamento della contessa: è possibile che egli fosse realmente innamorato, certo, ma è assai più probabile che in lei Nižinskij vedesse l’opportunità di emanciparsi da quella vita contraddistinta fino ad allora dal costante giudizio della massa e da una condizione sociale tutt’altro che distinta.

Ad ogni modo non appena Djagilev venne a sapere la notizia, infuriato, licenziò immediatamente il suo ballerino e troncò all’istante qualunque relazione con lui: una decisione che complessivamente non avrebbe portato grande giovamento a nessuno dei due. Già, perché se da un lato il danzatore polacco tentò di mettersi in proprio ottenendo dei risultati totalmente deludenti, le cose non parvero andar meglio neppure per i balletti russi: forse l’avvento della prima guerra mondiale aveva portato con sé una complessiva indolenza da parte del pubblico nei confronti di tutte quelle arti performative in grado di costringerli a riflettere e a ricordar loro cosa fosse la bellezza; forse dopo l’addio del suo amato Djagilev non aveva più lo stesso entusiasmo e la stessa vitalità di prima o forse più semplicemente fu proprio il brusco addio di uno degli elementi più dotati del gruppo a determinare il declino dello stesso, eppure col tempo gli spettacoli della compagnia ottennero sempre meno successo destando sempre meno ammirazione tanto fra gli spettatori quanto fra i critici.

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Alla sua morte, subentrata per cause naturali presso uno storico hotel di Venezia, Djagilev era talmente povero da non disporre neppure dei soldi necessari per il suo stesso funerale: fu la sua amica e un tempo collaboratrice Coco Chanel a provvedere alle esequie … quella stessa donna con cui aveva lavorato in una gioiosa epoca ormai passata e che ora, forse anche grazie a lui, era finalmente diventata grande. Ad ogni modo il generoso intervento della stilista non fu certo sufficiente a risolvere tutti i problemi lasciati in eredità dalla vittima: si scoprì infatti che l’impresario negli ultimi anni aveva contratto numerosi debiti con diverse banche al solo scopo di finanziare la compagnia, debiti che adesso nessuno sarebbe stato in grado di onorare. I balletti russi chiusero i battenti e ognuno dei propri straordinari artisti prese strade diverse, magari ritornando in Russia o magari rimanendo in quel mondo occidentale in cui avevano conosciuto fama e successo e così ebbe anche termine l’esistenza della miglior compagnia di balletto mai esistita al mondo. Per il resto, di quello storico gruppo non rimangono che mille struggenti ricordi in grado di testimoniare l’esistenza d’un’epoca in cui la meticolosità e la costante ricerca della perfezione erano considerate qualcosa di normale, forse perfino di doveroso; e se ognuno di noi riesce tutt’ora a provare un senso di nostalgia verso quel breve ma intenso periodo dominato dalla grazia e dalla creatività, allora vuol dire che in fondo l’esperimento di quel “folle” imprenditore russo e del suo fedele amico ha funzionato davvero.

Alice Bellori.

 
 
 

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