Nicia: storia del più grande pittore di cui non vedrete mai un quadro.
- yrivistaculturale
- 6 set 2021
- Tempo di lettura: 5 min

Non troverete mai un suo lavoro esposto in un importante museo né sentirete di una sua tela venduta all’asta a qualche milionario o vedrete le foto di una qualunque delle sue molte opere apparire su una rivista culturale. A dire il vero è probabile che molti di voi non abbiano mai neppure sentito il suo nome, a conti fatti. Eppure non stiamo parlando del classico artista mediocre o del tutto sprovvisto di qualsivoglia talento ma di un autentico prodigio della pittura in grado di distinguersi fra i propri contemporanei come uno degli uomini più talentuosi e geniali della propria generazione se non d’ogni epoca. Probabilmente a quest’ora i suoi capolavori dovrebbero essere studiati in qualunque scuola del mondo e il suo nome dovrebbe essere celebre quanto quello di Caravaggio, Van Gogh e Picasso se non fosse per il fatto che a differenza degli altrettanto illustri ma ben più fortunati colleghi le opere di questo maestro sono state vittime di un assai cinico e insidioso nemico: il tempo. E non perché Chronos abbia fatto sì che col passare degli anni esse venissero obliate o superate in bellezza da altre opere, ma più banalmente perché col tempo esse sono andate distrutte. Tutte.

Gli antichi storici non hanno lasciato molte notizie sulla vita dei suoi genitori (neppure su di lui, a dirla tutta), ciò che sappiamo tuttavia è che in un non meglio specificato periodo del IV Secolo A.C. Nicia vide la luce ad Atene. Intendiamoci, non era più l’Atene brillante e riformista conosciuta ai tempi di Pericle quanto piuttosto una città in piena crisi identitaria dominata da una complessiva decadenza degli antichi valori e da un declino socio-politico seguito alla sconfitta nelle guerre peloponnesiache, eppure era la città di cui Nicia si sarebbe ben presto innamorato e alla quale sarebbe rimasto fedele fino alla fine dei propri giorni … anche quando tale fedeltà non si sarebbe rivelata funzionale ai propri interessi personali.

In effetti nonostante gli innumerevoli problemi presenti bisogna riconoscere che esisteva un vantaggio tutt’altro che secondario nell’essere un pittore in quella che, malgrado tutto, rimaneva la città-emblema dell’arte greca: poter trovare con relativa facilità un maestro e un mentore grazie al quale far decollare la propria carriera. In quegli anni infatti, in tutta la capitale non si parlava che di un uomo: un uomo il cui ingegno era secondo solamente alla sua prolificità e alla sua dote di creare in poco tempo una quantità più che significativa di opere d’arte, il suo nome era Prassitele. Al contrario di Nicia, di lui e della sua famiglia sappiamo pressoché qualunque cosa: sappiamo che suo padre era uno scultore, sappiamo che lui avrebbe appreso la professione dal suo vecchio e sappiamo che avrebbe a propria volta tramandato la nobile arte ai suoi due figli, Cefisodoto e Timarco. Sappiamo anche tuttavia che egli godeva nella propria officina dell’aiuto di un gran numero di collaboratori e di apprendisti senza i quali, verosimilmente, non sarebbe mai riuscito a creare così tante opere in così poco tempo e sappiamo infine che malgrado i tanti parenti, amici e allievi in grado di appassionarsi al mondo dell’arte Prassitele non trovò mai un ragazzo in grado di raggiungere le vette di originalità e di perfezione del giovane Nicia. Già perché fin dall’epoca l’enfant prodige ateniese aveva già sperimentato nuove tecniche per impiegare il colore manifestando non solo la conoscenza del chiaroscuro e di altri complessi giochi di luce ma soprattutto la capacità di esprimere tramite la mescolazione della cera al colore le emozioni di ciascuno dei personaggi rappresentati nelle proprie opere … perfino nelle donne, all’epoca fin troppo spesso trascurate da gran parte dei pittori greci. Immediatamente Prassitele lo volle con sé incaricandolo di curare con una velatura policroma tutte le proprie sculture e inaugurando quello che sarebbe forse divenuto il più fausto sodalizio della storia dell’arte antica.

Da quel momento in poi la vita e la produzione artistica di Nicia furono un susseguirsi di opere sublimi e al tempo stesso tutte ben diverse tra loro: dai quadri di natura mitologica fino alle rappresentazioni di cani (in seguito lo scrittore Pausania lo avrebbe definito il miglior pittore di animali del suo tempo) passando per le opere funerarie sembrava che non ci fosse alcun tipo di situazione o di soggetto che l’artista non fosse in grado di rappresentare; eppure il suo massimo capolavoro, o perlomeno l’opera di cui più di tutte si discusse negli anni a venire si rivelò essere la “Nekya”, un quadro il cui titolo era verosimilmente ispirato ad un’antica pratica rituale greca tramite la quale i vivi avevano l’occasione d’incontrare i defunti al fine d’interrogarli sul futuro. Misteriosa e al tempo stesso densa di spiritualità, l’opera non attirò solo le attenzioni di studiosi e intellettuali ma perfino di quello che all’epoca era forse uno degli uomini più importanti del mondo allora conosciuto: Tolomeo I. Ex guardia del corpo di Alessandro Magno, dopo una vita trascorsa a combattere Tolomeo si era ormai stanziato in Nordafrica divenendo il primo “Signore d’Egitto” e fondando l’omonima dinastia che avrebbe governato il Paese per i successivi tre secoli; eppure in quegli anni sembrava che fra le sue mille preoccupazioni vi fosse anche quella di circondarsi di opere preziose e ricercate di cui bearsi negli anni della vecchiaia e per far sì che questo desiderio si concretizzasse pensò immediatamente di acquistare la “Nekyia” arrivando ad offrire la cifra record di 60 talenti nel tentativo di accaparrarsela. Niente da fare: Nicia non voleva per nessuna ragione che la sua opera meglio riuscita abbandonasse la sua terra natia e declinò l’offerta con quello che probabilmente fu il più celebre e clamoroso rifiuto nella storia delle compravendite artistiche.

Purtroppo capita spesso che le capacità di artisti non riconosciute immediatamente vengano invece apprezzate soltanto dai loro posteri; capita ben più di rado ma forse in modo ancor più beffardo che grandi artisti capaci di raggiungere una fama e un rispetto senza precedenti vedano il proprio nome cancellato dalla storia a causa della debolezza della memoria umana unito, forse, alle sfortunate coincidenze con cui le proprie opere finiscono smarrite o distrutte. Fu così che progressivamente il mondo si dimenticò di Nicia e di quelle che erano le sue imprese pittoriche, illuminando di una luce grigia e malinconica quella che invece era stata un’esistenza contraddistinta da mille sgargianti colori. Credo che ognuno di noi possa solo immaginare cosa voglia dire dopo innumerevoli fatiche compiute con il solo scopo di raggiungere la vetta veder dimenticati i propri capolavori solamente a causa di uno dei tanti capricci del destino, il che in fondo ci porta a essere lieti del fatto che il grande pittore non sia sopravvissuto allo sfacelo del proprio lavoro: in fondo l’unica consolazione che possiamo trarre dalla surreale e grottesca storia della sua vita consiste proprio nel fatto che essa ha avuto una fine assai meno brusca dei propri frutti.
Lucrezia Ballarin
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