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Selim I: il sultano che con la sua morte salvò l’occidente.

  • yrivistaculturale
  • 30 set 2021
  • Tempo di lettura: 7 min

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Una delle cose più assurde che uno storico possa fare è inserire in una frase la congiunzione “se”. Eppure, visto che mi ritengo un grandissimo amante delle assurdità è esattamente questo ciò che voglio fare oggi, perciò mi domando: cosa sarebbe accaduto all’Europa e al mondo occidentale se il sultano Selim I non fosse morto così prematuramente?

Per rispondere, cerchiamo prima di scoprire chi fosse davvero questo Selim I: proviamo a comprendere fino in fondo quali erano le sue qualità, quali sono state le ragioni della sua ascesa e soprattutto quali sono state le sue reali ambizioni. Figlio di Bayezid II, uomo di rara cultura e di profondo rispetto per qualunque minoranza etnica e religiosa (offrì asilo agli ebrei espulsi dalla Spagna inviando loro le sue migliori navi pur di scortarli dalle coste iberiche alla Anatolia), fin dalla più tenera età Selim dimostrò un’indole ben diversa rispetto a quella del padre palesando una viscerale febbre di potere e di grandezza nonché una maggior attenzione all’arte della guerra che alle forme d’arte pittoriche o letterarie (ad eccezione della poesia, di cui in effetti era un grande appassionato.) All’età di quarantasette anni, coerentemente con la propria indole, Selim iniziò a dar segni d’impazienza dimostrando che ormai il ruolo di semplice erede al trono cominciava ad andargli assai stretto: non potendo contare sul sempre più diviso gruppo di potentati regnanti nell’Anatolia dell’epoca o su un esercito in parte ancora fedele a Bayezid e in parte assai poco organizzato, egli ebbe l’intuizione di affidarsi a un corpo militare all’epoca ben poco numeroso ma particolarmente disciplinato: i giannizzeri. Grazie alla loro fedeltà nel 1512 costrinse suo padre ad abdicare, salvo farlo assassinare poche settimane dopo tramite un veleno contenente polvere di diamante e divenendo, inevitabilmente, il nuovo Sultano dell’Impero. Com’era ovvio, fin da subito le sue politiche si dimostrarono in forte discontinuità rispetto a quelle del padre: dopo anni di tensioni col Regno d’Ungheria e di guerre in mare contro la Repubblica di Venezia capeggiate dal mitico Barbarossa, Selim decise di stipulare una pace strategica con entrambe le potenze cristiane garantendo a ognuna vantaggi economici e privilegi commerciali: un atto di diplomazia? niente affatto, semplicemente il frutto d’un calcolo ben preciso e del desiderio di concentrarsi sui propri rivali interni all’universo musulmano.

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Nella concezione geopolitica di Selim la priorità dell’impero Ottomano non era infatti quella d’invischiarsi in una prematura guerra con l’Europa quanto monopolizzare il mondo islamico sottomettendo ognuna delle altre nazioni sunnite al proprio potere. Purtroppo per lui a ostacolare questi piani vi fu un inatteso ma insidioso nuovo rivale: suo fratello Ahmet. Dopo essere stato nominato Governatore di Konya, Ahmet si convinse infatti di avere il carisma e la forza necessaria per sostituire Selim ed ordinò a suo figlio di muovere le proprie truppe verso la città di Bursa. Furioso Selim dapprima represse la rivolta ed in seguito fece giustiziare i suoi fautori; ma non è tutto perché da quel momento scattò qualcosa nella mente del sovrano: qualcosa di molto simile ad un’ossessione che lo portò ad assassinare nel giro di pochi giorni ogni altro possibile pretendente al trono … perfino i propri stessi figli; ad essere risparmiato dalla collera del sovrano fu solamente il suo primo genito, un ragazzo che di lì a pochi anni avrebbe effettivamente preso il suo posto e che avrebbe governato l’Impero per quarantasei anni, il suo nome era Solimano il Magnifico.

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Ad ogni modo dopo aver risolto queste inedite beghe familiari Selim poté finalmente dedicarsi al suo tanto agognato progetto di espansione territoriale verso oriente: nel 1514 dichiarò guerra all’impero Safavide, giudicato da lui come la più impellente minaccia esistente, ad agosto riuscì a sconfiggere le truppe nemiche a Cialdiran, nell’odierno Azerbaigian iraniano, dimostrando non solo una grande conoscenza delle tattiche militari ma soprattutto la capacità di sfruttare ogni debolezza del nemico. Non trascorsero che un paio d’anni prima che dichiarasse guerra anche al Sultanato dei mamelucchi invadendo con successo dapprima la Siria e in seguito l’Egitto; da lì, gli ottomani si espansero lungo l’intero Maghreb giungendo poco dopo a sottomettere quanto rimaneva della decadente dinastia abbaside, espugnando le città sante di Medina e La Mecca e costringendo al-Mutawakkil III all’umiliante concessione del titolo di Califfo a Selim I.

Nel giro di pochi anni, il potente Sultano aveva più che raddoppiato la vastità del proprio impero imponendosi come uno degli uomini più potenti al mondo e vantando al proprio cospetto l’esercito più spietato e numeroso della sua epoca. Eppure, malgrado tutto vi era ancora qualcuno che sembrava intenzionato ad opporsi alla propria egemonia e non tuttavia il Sovrano di un Regno altrettanto grande quanto … un predicatore caduto in disgrazia. Dopo essere miracolosamente sfuggito alle persecuzioni ottomane Celal, questo il nome del ribelle, tentò infatti di organizzare un’autentica insurrezione nell’Anatolia orientale contro il feroce sultano. Sebbene nominalmente le popolazioni turcomanne del luogo fossero infatti assoggettate già da diversi secoli all’impero, nei fatti esse avevano sempre mantenuto una sostanziale autonomia politica e religiosa approfittando della tolleranza dei precedenti sultani e del sostegno dei propri storici alleati, i Safavidi; con l’ascesa al trono di Selim e la conseguente sconfitta dei Safavidi però, le popolazioni del luogo si erano ritrovate in uno stato di sostanziale sottomissione arrivando a percepire il governo centrale dell’impero come autoritario e dispotico, il che, unito al malcontento generato dall’innalzamento di numerose imposte e all’immancabile carisma di Celal portarono la rivolta ad ottenere un seguito maggiore del previsto e a far sì che i rivoltosi si organizzassero in un autentico esercito, per quanto sparuto e mal equipaggiato. Ovviamente non occorse molto prima che Selim inviasse i Giannizzeri a sconfiggere (o forse sarebbe meglio dire a sterminare) le truppe ribelli ristabilendo così lo status quo nella regione, eppure l’impatto culturale di queste proteste fu tale che nell’arco di tutto il XVI e perfino per gran parte del XVII secolo furono in molti i rappresentanti delle comunità turcomanne che si organizzarono in nuove piccole operazioni di guerriglia contro il potere centrale di Costantinopoli.

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Ad ogni modo, ignaro e indifferente a quanto sarebbe accaduto di lì a diversi decenni di distanza, Selim preferì piuttosto dedicarsi ad un nuovo progetto e nel giro di poco abbandonò la capitale per recarsi con i suoi uomini più fidati a Edirne: l’obiettivo? pianificare una nuova campagna militare, questa volta in Europa. In realtà gli storici dibattono tutt’ora su quale sarebbe stata la mossa successiva di Selim: forse avrebbe provato a invadere le isole di Rodi e di Cipro? o forse avrebbe preferito spostare le sue troppe nell’entroterra attaccando così i Balcani e l’Europa orientale? impossibile stabilirlo, ma è estremamente probabile che egli fosse seriamente intenzionato a infrangere i patti stabiliti otto anni prima con Venezia e con l’Ungheria per provare a sottomettere il mondo cristiano esattamente come già aveva sottomesso il mondo islamico; in altre parole egli ambiva creare il più grande impero mai visto nella storia dell’umanità.

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Ci sarebbe riuscito? impossibile dirlo. Purtroppo per lui prima di giungere a Edirne e di mettere in pratica i suoi piani, quali essi fossero, Selim morì improvvisamente a causa di un cancro e con lui la sua utopia. Ad essere sinceri inizialmente suo figlio Solimano portò avanti nel modo più fedele possibile le politiche espansionistiche del padre logorando quanto rimaneva dell’impero Safavide e soprattutto avviando quella famosa guerra al mondo occidentale grazie alla quale sarebbe riuscito a sottomettere il Regno d’Ungheria (di cui avrebbe fatto uccidere il sovrano Luigi) e ad occupare alcune delle isole strategicamente più importanti dell’intero Mediterraneo. Eppure le ambizioni del nuovo Sultano di proseguire trionfalmente la propria marcia verso l’Europa continentale dovettero bruscamente interrompersi quando nell’autunno del 1529 dopo aver assediato la città di Vienna per diciassette giorni il suo esercito venne sconfitto da una coalizione di soldati austriaci, boemi e spagnoli. Sebbene nei centocinquant’anni a venire furono in molti i sultani che tentarono di ripetere la medesima impresa nessuno vi riuscì mai, al punto che l’impero ottomano iniziò il proprio progressivo declino senza essere mai riuscito a sottomettere che una minima parte delle potenze cristiane dell’epoca ed avendo dunque mancato di realizzare un sogno che al contrario, per una lunga parte della propria storia, era apparso decisamente alla sua portata.

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Ebbene, cosa sarebbe accaduto se Selim non si fosse ammalato e se al contrario fosse stato lui a guidare l’invasione ottomana dell’occidente? Cosa sarebbe accaduto se anziché Solimano ci fosse stato il padre a comandare l’esercito di 120.000 soldati che in quello storico autunno tentò d’invadere Vienna? Indubbiamente Selim si era più volte distinto per un talento militare di gran lunga superiore a quello di qualunque altro uomo della sua epoca, perfino del suo pur brillantissimo erede; inoltre egli godeva di una fiducia e di un amore quasi filiale da parte dei veterani del suo esercito: un rapporto sul quale i suoi soldati avevano basato la vittoria di grandi battaglie e che nessuno di loro sarebbe riuscito a intrecciare con i nuovi sultani. È possibile che ognuno di questi fattori, uniti alla sua insaziabile sete di conquista, avrebbero potuto portare Selim a invadere dapprima l’Austria ed in seguito perfino il resto dell’Europa continentale? O forse è più probabile pensare che i fallimenti delle campagne ottomane fossero legati semplicemente al fatto che esse risultavano troppo ambiziose perfino per una superpotenza di quel calibro?

Indubbiamente risulta difficile pensare che Selim avrebbe ugualmente continuato a condurre le proprie guerre senza subire prima o poi alcuna sconfitta dalle eterogenee e numerose forze cristiane dell’epoca e quant’anche ciò fosse accaduto sarebbe stato estremamente complesso sul piano logistico guidare troppo a lungo un impero così vasto e diversificato; prima o poi dunque gli ottomani sarebbero stati destinati a soccombere sotto il peso delle loro stesse contraddizioni cosa che, d’altronde, potremmo dire pressoché di qualunque impero della storia. Forse l’intero mondo cristiano, quant’anche invaso dalle forze sunnite, avrebbe a grandi linee seguito lo stesso percorso dell’Ungheria e dei popoli balcanici di quell’epoca: soccombere per alcuni decenni agli invasori stranieri salvo recuperare le proprie radici religiose non appena essi avessero tolto il disturbo. Eppure, nonostante questo, credo sia profondamente affascinante interrogarsi sulla pur velleitaria questione di quanto in quella prima metà del 500 noi tutti siamo stati realmente vicini ad essere sottomessi da un popolo così diverso da noi per religione, storia e cultura: forse non giungeremo mai a una risposta definitiva ma personalmente non smetterò mai di pormi la domanda.

Germano Spada.

 
 
 

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