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Longtermism: la filosofia che spaventa gli ambientalisti e seduce i miliardari.

  • yrivistaculturale
  • 6 feb 2023
  • Tempo di lettura: 4 min



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Immaginate di dover scegliere tra la preservazione di milioni di abitanti dalla povertà, dalla guerra e dalle crisi ambientali, e la tutela di un ristrettissimo segmento d’individui dotati del potenziale necessario per garantire alle generazioni future (molto future) benessere e prosperità: per cosa optereste? La risposta, apparentemente scontata, sembra essere stata messa in discussione negli ultimi anni non solamente da singoli cittadini più o meno eccentrici ma perfino da una filosofia strutturata capace di condizionare alcuni tra gli uomini più influenti del pianeta. È il caso del longtermism, una scuola di pensiero morale nata negli anni 80 in Nord America (sebbene il termine sia stato coniato solamente in seguito) e basata sul principio secondo cui la vita di un essere umano destinato a nascere tra diversi millenni dovrebbe avere la stessa dignità della vita d’un nostro contemporaneo; di conseguenza qualunque scelta intrapresa dai governi, dalle organizzazioni collettive o dalla società in generale non dovrebbe mai basarsi sull’istintivo impulso di generare progressi immediatamente tangibili quanto su una visione di lungo, lunghissimo periodo. L’aspetto più curioso di tale impostazione ideologica tuttavia, è proprio che malgrado le sue intrinseche contraddizioni essa non sembri animata da principi concettualmente errati e che anzi parrebbe sinceramente attenta a tutti quei temi etici che oggigiorno vengono tanto frequentemente dileggiati, eppure tutto questo non la rende in alcun modo meno pericolosa e ambigua, almeno non secondo i suoi detrattori.

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L’effective altruism infatti, il principio alla base di questi movimenti, considera prioritario per l’uomo contemporaneo non il miglioramento della propria condotta individuale quanto l’accumulo di risorse da destinare, tramite operazioni più o meno filantropiche, al progresso dell’umanità e al suo avvenire. Raramente un prezzo da pagare per il raggiungimento della crescita collettiva verrà considerato dai seguaci di questa dottrina troppo elevato né tantomeno sarà mai opportuno dar vita ad una qualunque riflessione su quelli che sono i rapporti di forza nella società contemporanea dal momento che l’umanità è inscindibile e si trova a condividere lo stesso destino, indipendentemente dalle condizioni economiche dei singoli individui che ne fanno parte. In altre parole fenomeni come lo sfruttamento territoriale, l’inquinamento, la devastazione paesaggistica o perfino le speculazioni finanziarie non andrebbero in alcun modo ostacolate o stigmatizzate, a condizione beninteso che le aziende resesi promotrici di tali azioni devolvano in seguito parte dei loro proventi in favore delle grandi cause abbracciate dal longtermism: la creazione di super-intelligenze artificiali, il miglioramento biologico del nostro organismo, la messa in atto di nuove realtà virtuali … queste sono solo alcune delle utopie per il raggiungimento delle quali in molti sarebbero disposti a sacrificare il presente dell’umanità laddove si rendesse necessario. Eppure, come possiamo immaginare la realtà concreta dei fatti è assai più sfaccettata: se infatti la compromissione del nostro presente può essere causata da un singolo segmento sociale della popolazione, non sempre le conseguenze di tali comportamenti ricadono sul gruppo d’individui che li ha perpetrati: è il caso della siccità, delle carestie o di tutti quei fenomeni ai quali chiunque si dichiara sensibile ma che ugualmente non riguardano ognuno di noi in egual misura. Di conseguenza, un’ampia parte dell’élite globale ha sposato il longtermism proprio perché affascinata dall’idea di poter giustificare tramite la sua dottrina attività imprenditoriali eticamente discutibili le cui conseguenze materiali ricadono solamente sulle classi sociali a loro sottostanti. In questo senso, risulta assai difficile non citare figure del calibro di Sam Bankman-Fried, fondatore della società di scambio di criptovalute FTX che prima del crollo di quest’ultima aveva utilizzato il longtermism e la visione che ne conseguiva per alimentare di sé l’immagine d’una sorta di novello Robin Hood che avrebbe un giorno redistribuito, direttamente o indirettamente, i suoi proventi ai più poveri, malgrado alla fine siano stati proprio i cittadini meno benestanti a subire le conseguenze del deprezzamento della FTX sul mercato azionario; difficile non citare anche il patron di Tesla Elon Musk che in un tweet ha dichiarato di sentirsi “molto vicino” alle idee di William MacAskill, un intellettuale divenuto tra le icone indiscusse della controversa filosofia grazie al libro “cosa dobbiamo al futuro?”; è il caso, soprattutto, di personalità meno note ma non per questo meno influenti come Jason Mathney, ex vice assistente del Presidente Biden e con un passato al “Future of Humanity Institute” o di Toby Ord, consigliere del World Economic Forum e dell’Oms che in passato sarebbe perfino riuscito a spingere le nazioni unite a redigere un paper in cui il longtermism è stato per la prima volta citato in modo esplicito.

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Occorre precisare che non tutti gli “accoliti” in questione condividono una stessa visione del mondo dal momento che all’interno di questa scuola di pensiero starebbero emergendo in modo progressivo due differenti sottoculture: quella dello strong longtermism, contraddistinta dalla rassegnazione al fatto che le calamità citate in precedenza saranno negli anni sempre più inevitabili e che dunque l’umanità non ha altra scelta se non quella di preparare fin da subito una sorta di piano post-apocalittico, e il soft longtermism, più moderato nei valori e nelle idee nonché più apprezzato dai principali portavoce di tali organizzazioni, forse anche a causa del fatto che esso presenta innegabilmente meno rischi di spaventare il grande pubblico allontanandolo così dal movimento.

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Indipendentemente dalle singole sfaccettature tuttavia, appaiono assai chiari i pro e i contro presentati dal longtermism: la compromissione ecologia e finanziaria del pianeta in cambio di un futuro ricco di privilegi attualmente inimmaginabili; il venir meno della sostenibilità ambientale e di svariate forme di biodiversità in cambio d’un mondo in cui ciascun uomo sarà finalmente in grado di esplorare appieno il proprio potenziale; le ingiustizie di oggi contro la digitalizzazione esponenziale del domani; ciascuno è libero di valutare liberamente se i tornaconti in questione superino o meno gli svantaggi eppure non si può ignorare il fatto che quest’ultimi avrebbero un effetto pressoché immediato sulla società in cui viviamo, la felicità promessa da questa inedita filosofia al contrario non coinvolgerà i nostri eredi se non tra centinaia e centinaia di anni, perciò … siamo davvero certi che l’attesa valga la pena?

Tancredi Avigliano.

 
 
 

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